Quando i Cappuccini fecero la loro prima comparsa in Abruzzo, la regione era già ricca di presenze francescane. Generalmente si fa risalire allo stesso San Francesco, che probabilmente ha visitato più di una volta la Regione, l’inizio e l’espansione del movimento che da lui prende nome.
In Abruzzo attecchirono fin dall’inizio i tentativi di riforma dell’Ordine; anzi gli “spirituali” preferirono proprio l’Abruzzo per la protezione loro accordata da papa Celestino V° nel 1294, per cui furono soprannominati anche “poveri eremiti di Celestino“.
La riforma dei Cappuccini fu introdotta in Abruzzo da un medico di Leonessa, certo Matteo Silvestri che, dopo essere divenuto membro della “provincia” di Roma e aver contribuito alla costruzione di un convento per i frati cappuccini nella sua cittadina, si dedicò alla espansione del nuovo movimento in altre località, iniziando dalla città dell’Aquila, nel 1540.
Nel 1575 fu costituita la “Provincia dei Frati Minori Cappuccini d’Abruzzo” governata da propri superiori.
I Cappuccini si diffusero subirò in tutto il territorio. L’accoglienza, piena di rispetto e di simpatia da parte della gente, era conseguenza del fatto che “i primi” religiosi avevano impressionato tutti per il modo di vivere povero e semplice e per il servizio gratuito ai malati. Sono numerose e documentate le attività dei Cappuccini abruzzesi distintisi non solo nella predicazione al popolo, ma soprattutto per il servizio prestato nei lazzaretti di quasi tutte le località d’Abruzzo, in occasione della peste del 1656-1657 che colpì tutta la regione.
Come gli altri Ordini religiosi in Abruzzo, anche quello cappuccino ha subito le varie soppressioni con l’incameramento dei beni e l’espulsione dai conventi.
La prima soppressione fu quella durante l’occupazione francese del 7 agosto 1809 da parte di Gioacchino Murat, rè delle due Sicilie. Questi decretò l’abolizione delle costituzioni degli Ordini Religiosi e il loro passaggio sotto la giurisdizione dei vescovi.
Ben più dura fu la seconda che, con decreto del governo piemontese, nel 7 luglio 1866 ordinava la soppressione di tutti gli Istituti religiosi, l’espropriazione dei beni e dei conventi e il servizio militare per i giovani religiosi.
I membri delle comunità furono dispersi e la provincia religiosa subì una notevole diminuzione di effettivi: su un totale di 36 conventi, ben 26 furono soppressi.
Tuttavia i frati non abbandonarono del tutto le chiese conventuali. Alcuni conventi espropriati furono riscattati, altri furono acquistati con l’appoggio del popolo.