03 Apr In preparazione della Santa Pasqua. Il legno della maledizione e l’albero della vita
Viviamo oggi in un mondo caratterizzato da divisioni inconciliabili, in cui non avvertiamo più la presenza e l’azione di Dio. Eppure, anche questa situazione sottostà al segno della croce. Ogni anno, il 14 settembre, la Santa Madre Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Tutti conosciamo l’importanza della croce nella vita di Gesù e in quella di ogni cristiano, ma vorrei approfondire il concetto di croce nelle Scritture usando due immagini: il legno della maledizione e l’albero della vita. La croce era uno strumento di tortura e morte, usata dai romani per giustiziare i condannati alla pena capitale. Per gli ebrei la croce rappresenta un ostacolo e per i greci una stoltezza. Tuttavia, nel Nuovo Testamento, la croce assume una valenza salvifica ed è latrice di vita per ovvie ragioni: il Salvatore del mondo vi è stato inchiodato sopra. In greco due sono i termini principali per indicare la croce: il primo, Stauros, utilizzato dagli evangelisti, indica lo strumento con cui viene data la morte (Paolo ne parla teologicamente nelle sue Lettere, per riferirsi alla sofferenza di Cristo); il secondo, Xylon, indica più genericamente il legno. Con legno si intende anche l’albero. Il Deuteronomio al 21:23 dice: “il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero; ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio». Morire appeso a un albero è dunque considerato, nell’Antico Testamento, una maledizione di Dio. I cristiani, tuttavia, hanno trasformato la maledizione in benedizione, identificandola nella Croce di Cristo, segno di salvezza. Dal legno si ricavavano strumenti come bastoni, ceppi o gogna usati per gli schiavi e i prigionieri. Il materiale legnoso serviva anche per la costruzione (Gen 6,14; Es 25,10ss), o per l’olocausto (Gen 22,3). Secondo G. Van. Rad, Dio fa crescere gli alberi nell’Eden, tra i quali si trovano l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Il Giardino dell’Eden è un dono, è il luogo della sollecitudine di Dio e l’albero che sta al centro è l’oggetto dei suoi comandamenti. Se il giardino simboleggia il bene, è anche il contesto in cui ha origine la disobbedienza. L’albero della vita diventa albero della maledizione e compare il peccato, con la conseguente perdita del paradiso; il legno diviene un simbolo dell’idolatria e dell’apostasia di Israele, testimone, con la pietra, dell’adulterio di Giuda (Ger 3,9, Is 40,20, 44,13-15, Ez 20,32). Non dobbiamo infine dimenticare che il legno veniva utilizzato come patibolo per le pubbliche esecuzioni, dal momento che chi si rendesse meritevole di morte doveva essere appeso all’albero, poiché l’impiccato era maledetto da Dio (Dt 21,22-23, Gs 10,26, Este 5,14). Nel Nuovo Testamento dal legno si ricavano armi o utensili (Mt 26,47). Luca, nel versetto 23,31, paragona Gesù a un legno verde e Israele a un legno secco. C’è un significato teologico nelle espressioni legno della maledizione e albero della vita. Gesù morì sull’albero, simbolo di maledizione per gli ebrei, sebbene l’esecuzione del Signore sia attribuita all’ignoranza degli israeliti (Atti 5:30, 10:39). Studiando il concetto della maledizione del legno nel Deuteronomio, nella Lettera ai Galati (3,13) Paolo afferma: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»). L’apostolo intende, con tali parole, che Cristo, morendo per noi sulla croce, si è sostituito a noi prendendo su di sé la maledizione. Diventando per noi maledizione, l’ha distrutta distruggendo il proprio corpo. In altre parole, Gesù si è fatto carico dei nostri peccati nella sua carne inchiodata al legno della croce dove, morendo, ha annientato il peccato (Isa 53,4,12; 1Pt 2,24). L’immagine dell’albero della vita è stata usata nella Genesi e trova il suo apice nel libro dell’Apocalisse. “In mezzo alla piazza della città e da una parte e all’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22,2); “Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città” (Ap 22,14); “e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa descritti in questo libro e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro” (Ap 22,19). Sempre nell’Apocalisse leggiamo: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel Paradiso di Dio” (Ap 2,7). Mangiando dall’albero della conoscenza vennero nel mondo il peccato e la morte, e il paradiso fu perduto, come sta scritto nella Genesi. Ma ora l’albero della vita è foriero del paradiso di Dio. Ciò che era interdetto ad Adamo ed Eva adesso, in una nuova creazione, è dono di Dio, dono inteso in particolare come vita, salvezza, gloria (Ap 22,2.14,19). L’albero è simbolo di vita e la croce, come ligneo strumento di morte e maledizione, mantiene il suo significato teologico. Essa è il punto in cui Dio si fa carico della sofferenza e della morte per ridare la vita al mondo caduto nel peccato. Se la croce ha un significato così meraviglioso, allora perché è anche uno scandalo? Quando Paolo annuncia lo scandalo della croce, sottolinea il significato salvifico dello scandalo stesso. Dopotutto, prima della conversione, lui stesso ne fu scandalizzato. Come poteva un appeso a un albero essere il Salvatore? E come può la maledizione diventare benedizione, la morte vita, la vergogna vittoria? Tentando di rispondere a simili domande, il mondo accademico afferma che il mistero della croce non può essere compreso appieno sul piano intellettuale. Dopotutto tale mistero non riguarda la comprensione, ma la scelta di vivere liberamente la nostra esistenza umana. Il biblista E. Kasemann scrive: “Gesù che muore, è il fondamento della nostra salvezza che prende su di sé le nostre colpe… Oggi innumerevoli predicatori del Venerdì Santo si fanno in quattro per spiegare come ciò fosse possibile e tuttavia non possono spiegarlo”. Anche la predicazione cristiana tradizionale presenta la morte di Gesù come un sacrificio per annientare il nostro peccato, ma gli uomini e le donne del XXI secolo non lo comprendono. Persino al tempo di Gesù, i discepoli non capivano come qualcosa definita maledizione potesse essere considerata una benedizione. Molti di loro si opposero sconvolti alla crocifissione. La morte del Signore fu considerata ignominiosa come quella di un volgare criminale, del resto in vita Gesù accolse i peccatori. Resta aperta la questione se il potere di Dio abbia davvero iniziato nella parola e nell’opera del Figlio qualcosa di diverso e di unico. A dare risposta a tali interrogativi, secondo la testimonianza del Nuovo Testamento, è stato Dio stesso, risuscitando Gesù compiendo con questo prodigio il sacrificio del crocifisso. L’inestricabile correlazione tra il Venerdì Santo e la Domenica di Pasqua non è una questione che riguardi solo la fede dei discepoli, non si limita alla potenza di Gesù, ma ha il suo fondamento esclusivo nell’azione creatrice di Dio, che così si rivela come Colui che dà la vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non sono ancora (Rm 4,1). Infine, la morte di Gesù sulla croce preconizza ed è paradigma delle vite crocifisse. “E la vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Gal 2,20). La croce non è concepibile senza la risurrezione di Gesù. Con la risurrezione, Dio conferma che la vita terrena di Gesù, volta a riportare l’umanità al Padre, è finalizzata alla redenzione e alla salvezza mediante il perdono dei peccati. Se il mondo accademico fallisce nello spiegare il mistero della croce, neppure in ambito teologico si hanno risposte esaustive in merito. Secondo D. Bonhoeffer, la croce di Gesù, che non siamo in grado di portare, ci ha aperto la prospettiva di una nuova vita in una relazione umana libera e liberatrice. Invece di scandalizzarci per la croce di Cristo, noi cristiani l’abbracciamo, e ce ne facciamo carico orgogliosamente, diventando seguaci del Salvatore. Ma cosa significa la croce, per i credenti? Per un cristiano accettare la croce significa essenzialmente crocifiggere il vecchio io e il proprio egoismo per diventare nuova creatura, pronta a sacrificarsi per gli altri. È il solo modo d’essere liberati dalla schiavitù del peccato per vivere con rettitudine. La separazione da Dio e da Cristo ci ha fatto sperimentare la miseria dell’uomo e la profonda empietà del mondo. La croce di Cristo diventa così un segno di pacifica protesta contro questo mondo e un segno tangibile di speranza.
Fr. Wilson Diago D’souza